Due anni fa, quando inviai a tutte le società FITARCO la mia presentazione come candidato al Consiglio Federale, promisi nella stessa che se eletto avrei attivato programmi specifici per l’aumento dei tesserati in Italia. Il come, derivava da uno studio che avevo fatto in relazione alla percentuale di tesserati FITARCO rispetto alla popolazione delle singole regioni italiane. Lo studio mi diceva che con interventi mirati in alcune regioni specifiche esisteva la possibilità di incrementare il numero di tesserati in quelle regioni in modo relativamente semplice.
Non sono stato eletto, e quindi il progetto è rimasto nella mia mente e lo studio nel mio computer.
Ma nei primissimi giorni del 2011, osservando le statistiche tesserati sul sito FITARCO, mi è venuto in mente di ripescare il vecchio studio e confrontarne i dati con i tesserati di inizio 2011.
La tabellina risultante è stata la seguente, che potete consultare più agevolmente scaricandola in grande formato da questo link.
Ragazzi, mi sono detto, la situazione non solo non è migliorata, in quelle regioni, ma sta precipitando apparentemente senza scampo verso il collasso completo.
I dati su cui si basa l’analisi sono i seguenti:
- I numeri della popolazione delle regioni (ricavati da Wikipedia
- I numeri dei tesserati al 31/12/2008 per regione
- I numeri dei tesserati al 1/01/2011 per regione
I confronti sono fatti:
- Tra tesserati e abitanti per regione
- Tra percentuale tesserati di una regione e media nazionale
I due indici finali sono calcolati come seguenti:
- L’indice di crescita relativa, è la differenza tra le due percentuali Tesserati/Popolazione
- L’indice di crescita assoluta è la differenza percentuale tra il numero assoluto di tesserati, dedotta la quota di calo nazionale del 8,8%
Superfluo specificare che il colore verde nella tabella significa situazione positiva e il rosso significa situazione negativa.
I dati sono impressionanti. Se sei regioni mostrano una percentuale Tesserati/Abitanti inferiore alla media nazionale, di queste solo una, la Calabria, mostra indici di crescita positivi.
Ma ben 4 regioni hanno tutti gli indicatori in negativo, e tra queste spicca sicuramente la Campania, all’ultimo posto con un –21% in crescita assoluta, seguita al penultimo dalla Sicilia con un – 15% e al terzultimo dalla Puglia.
Ma se tra il 2008 e il 2011 la piccola Basilicata è stata la sola ad emergere nettamente dalla zona “rossa”, con un brillante +42%, sono invece andate in “rosso” nel 2011 nettamente la Liguria, con – 14%, Trento, Bolzano e la Valle d’Aosta addirittura con –29%
Se la FITARCO fosse un’azienda ed i suoi Comitati Regionali le agenzie di rappresentanza sul territorio, si porrebbe immediatamente un problema di redditività delle agenzie stesse.
In particolare, quando alcune delle aree più popolate d’Italia come la Campania, 5,8 Milioni di abitanti e 503 tesserati, la Sicilia, 5 Milioni di abitanti e 477 tesserati e la Puglia, 4 Milioni di Abitanti e 424 tesserati mostrano un trend di “vendita” del prodotto arcieristico disastrosamente negativo, un intervento i diretto sarebbe indilazionabile.
Ci rendiamo conto che se quasi 15 milioni di abitanti sono rappresentati da circa 1400 arcieri soltanto invece degli oltre 5000 che vorrebbe la media nazionale, con in più un trend di crescita nettamente negativo, è lì che le attenzioni devono concentrarsi per recuperare nuovi tesserati?
E non parlatemi di situazione socio economica, perché non ha senso, quando Basilicata e Calabria crescono, ma parliamo magari invece di situazione sclerotizzata a livello locale.
Forse, è ora di cambiare radicalmente la gestione locale FITARCO di queste Regioni, che evidentemente non stanno lavorando nella direzione della crescita generale.
Un azienda attenta al mercato, alla crescita ed al profitto, se le proprie filiali non producono, prima cambia la Dirigenza locale e poi, se proprio non si riesce a fare nulla , le chiude. Almeno, non ci saranno i profitti ma neppure le spese.
La domanda provocatoria al Consiglio Federale FITARCO è proprio questa:
Cambiamo i venditori locali o chiudiamo le agenzie?
Comunque, con urgenza e prima che sia troppo tardi.
11 commenti:
Non voglio difendere la mia regione per campanilismo, ma vorrei fare due osservazioni:
1) di carattere generale: il confronto andrebbe fatto fine anno con fine anno, perchè sappiamo bene quante siano le iscrizioni di un solo anno, persone che provano, credono che sia tutto facile, e poi abbandonano. Se non abbandonano il primo anno, difficilmente lo fanno dopo.
2) riguarda in particolar modo la Liguria, che ha la gran parte delle città popolose che si affacciano sul mare, dove le seconde case sono numerose e pure numerosi sono gli abitanti che prendono la residenza per moivi fiscali, ma non abitano in Liguria.
Il riferimento alla percentuale sui residenti è quindi condizionato da questo fattore.
Detto questo credo che si possa sempre fare di più.
Dalla percentuale tra tesserati 2011 e 2008 come calcolata, viene sottratto l'8,8% del calo nazionale tra fine 2008 e inizio 2011, proprio per tenere conto dei cali di fine anno.
Il confronto è quindi corretto, almeno se riferito alla media nazionale.
un'analisi su cui riflettere, ma se chiudessimo gli organi periferici cosa cambierebbe?
forse il problema è un altro: che il tiro con l'arco offre un'attività in un contesto come i nostri campi di tiro praticamente ne più ne meno come 40 anni fa. Se parliamo di attività sportiva sul mercato è difficile trovare una palestra come 40 anni fa ma troviamo numerosi centri fitness o wellness dove c'è sempre la fila per iscriversi vuoi per fare attività fisica vuoi per frequentare l'ambiente di detti centri sportivi. Intendo dire che il mercato si è evoluto e cosi le palestre hanno dovuto evolversi. Per non parlare della scuola Italiana di sci che offre un servizio adeguato alle richieste dei vacanzieri con una strategia didattica molto moderna rispetto al passato. Per me andrebbe rivisto e modernizzato l'approccio sia didattico, corsi base, sia con una modernizzazione di quello che si offre nei campi di tiro. sarebbe necessaria un'analisi del prodotto tiro con l'arco e relativo target di utilizzatori per sviluppare nuove strategie per proporre il tiro con l'arco. Tutto ciò ha un costo che purtroppo non penso sostenibile da parte degli attuali appassionati che gestiscono le compagnie di tiro.
I fattori che edoardo puntualizza sono sicuramente la base del mancato sviluppo del tiro con l'arco in italia, e si possono riassumere in una offerta che non è più adeguata alla domanda e non è più concorrenziale rispetto ad altre attività socialmente più gratificanti.
Ma l'analisi dimostra chiaramente che se in alcune regioni il tiro con l'arco sta crescendo, probabilmente perchè la dirigenza locale segue la domanda, in altre è stabile ed in alcune sta addirittura crollando a velocità impensabile.
Chiudere gli organi periferici è una provocazione, commissariarli ed andare a cercare di raddrizzare la situazione locale prima che sia troppo tardi è una necessità ed un dovere.
Il calo di tesserati... perquanto riguarda la mia regione (Marche) la riassumerei così:
1) promozione della disciplina quasi nulla e delegata alle singole società, che fanno già fatica ad arrivare a pareggio di bilancio
2) carenza di strutture: se non giochi con una palla, i comuni non ti calcolano. Le poche palestre disponibili sono fruibili solo con orari serali al limite del notturno. Se la promozione principale viene fatta nelle scuole/istituti, quindi rivolta ai ragazzi/e, come puoi pianificare una crescita degli iscritti con orari simili di accesso?
Così il target si sposta su un'età media dei frequentatori di 40 anni e le possibilità di crescita sono nulle.
3) Ultimo, per promuovere e "campare" bisogna trovare degli sponsors ed è sempre più difficile, vuoi per la crisi economica e vuoi perché, come dicevo prima, il tiro con l'arco non è il "pallò".
Guarda che le Marche hanno gli indici di tesseramento in crescita, quindi i problemi che tu nomini esistono senz'altro, ma non influiscono più di tanto, o certo non influiscono come in altre regioni.
Il trend è positivo in alcune province delle Marche dove le amministrazioni locali hanno capito l'importanza anche educativa di questo sport e lo sostengono o, comunque, danno pari opportunità rispetto alla pallavolo o al calcio.
Ma molte realtà soffrono della mancanza di strutture e/o dei costi per poterle mantenere.
Senza strutture e fondi non si fa promozione e se si fa promozione e quindi nuovi iscritti poi ci si deve scontrare con problemi organizzativi e di gestione della società.
Secondo me, finchè ogni arciere appassionato propone delle soluzioni che partono dalla propria esperienza facendo riferimento a ciò che è piaciuto a ognuno di loro, le soluzioni per far crescere l'arcieria saranno sempre zoppe.
Sono anni che hanno inventato le analisi di mercato per vendere un prodotto senza incorrere in fallimenti. Ma chi deve investire soldi in ricerca?
Di chi è la competenza per fare il lavoro di promozione? gli arcieri? gli istruttori? i responsabili delle compagnie?
Tutti questi soggetti hanno dei denominatori comuni: grande passione per l'arco, una vita privata con svariati oneri come il lavoro la famiglia o semplicemente delle normali relazioni sociali extra arco. Come fanno questi appassionati a fare una promozione soprattutto efficacie e professionale che raggiunga il target di nuovi arcieri se hanno già poco tempo per tirare con l'arco? In estrema e catrastofica sintesi se collassasse il mondo dell'arceria chi ne subirebbe sicuramente una perdita economica? Di certo non gli arcieri che perderebbero solo un hobby. Di solito le imprese, di qualunque ramo merceologico, che traggono profitto investono una parte delle risorse economiche in ricerca, analisi di mercato e pubblicità .....................
Se l'approccio alla promozione del tiro con l'arco fosse fatto con criteri aziendali e di marketing, ovviamente non saremmo nella condizione attuale. Purtroppo le industrie correlate al nostro mondo sono generalmnte dello stesso tipo della associazini sportive: piccole, artigianali, padronali e product oriented e non market oriented.
Sta quindi alle strutture nazionali ed internazionali investire in ricerche e analisi di di mercato.
La FITA lo ha fatto, ed i risultati delle ricerche sono nel piano di sviluppo quinqennale di cui sitrova tutto sul sito della FITA. Si può opinare, e molto, sulle conclusioni, ma lo studio lo ha fatto (fare).
La FITARCO avrebbe le risorse per farlo a livello Italiano, ma non esiste all'interno della dirigenza attuale una cultura specifica sufficientemente evoluta per affrontare il problema della promozione e diffusione in base a ricerche di marketing, da affidare ovviamente ad agenzie specializzzate meglio se con background internazionale. I nostri dirigenti centrali e periferici non sono che l'espressione del tipo di società che edoardo menziona, e pr definizione un sistema tende a mantenere le regole e le informazioni che ne hanno creato l'esistenza negando anche l'evidenza, pur di proteggere se stesso.
Rieccoci al punto. Solo la FITARCO ha le risorse, solo la FITARCO ha le informazioni, solo la FITARCO può intervenire. M anon lo farà mai, senza una spinta forte da parte della base, di una nuova base, più giovane ed evoluta di quella che ha prodotto la dirigenza attuale.
E, intanto, in alcune regioni importanti il tiro ocn l'arco sta morendo.
Alla assemblea di Riccione un amico Campano mi ha detto "mi dicono che hai scritto su Arcosfera contro la Campania"...
Gli ho risposto ovviamente che usando il termine "contro", ho scritto anche contro la Liguria, la Valle D'Aosta, la Sicilia ma anche la Lombardia e il Trentino.
Il problema è sempre quello di voler leggere messaggi "contro" qualcosa o qualcuno e non, come invece spesso sono, ed in particolare in questo caso, messaggi a favore del nostro sport e del suo sviluppo.
Sono d'accordo con l'analisi di "anonimo" soprattutto nei punti 1 e 2 nei quali dice che
1) la promozione della disciplina è quasi nulla
2) che c'è una carenza di strutture. Voglio porre l'attenzione sulla carenza di strutture. Mentre è assodato come sia imprenscindibile per una società avere un campo all'aperto (e ci mancherebbe !!), si tende a sottovalutare il problema "palestre". Le poche palestre disponibili, come diceva "anonimo", sono infatti fruibili solo con orari serali/notturni.
E' in effetti vero che così la possibilità di praticare il tiro con l'arco si sposta sulle categorie senior e master anzichè giovanili con possibilità di crescita praticamente nulle.
Molte società sono tutt'oggi prive di palestra, una struttura pressochè essenziale per promuovere l'attività invernale, soprattutto nelle regioni del Nord Italia a clima rigido, tra le categorie G,R e A, che rappresentano il nostro futuro.
Il problema della disponibilità di palestre non è secondario: ogni società che voglia promuovere il tiro con l'arco o voglia portare alle gare indoor degli arcieri preparati, non può prescindere dal disporre di tale struttura che dovrebbe rientare nelle strategie della "promozione".
Posta un commento